Todo el bien, todo el mal
di Marco Celati - lunedì 10 aprile 2023 ore 09:00
Il commissario Favati è seduto su una panchina del porto di Mindelo, Isola di San Vincenzo. È un’abitudine ormai. Se ne sta da solo. Aspetta. Pensa. Chissà se il vecchio imbarcadero faceva da scalo per le navi negriere che caricavano gli schiavi dall’Africa per l’America o l’Europa? È notte fonda. Una notte senza stelle e senza luna, ideale per le solitudini e gli agguati. Ma il clima è mite, si sta bene. Da qualche balera dei dintorni, arriva un motivo. “Es la historia de un amor…”, un disco di Tania Libertad e Césaria Évora. Anche dopo tutti gli anni a Capoverde lo spagnolo si capisce più del portoghese. Una versione ritmata, grandi artiste. Belle interpretazioni anche quelle di Luz Casal o Guadalupe Pineda. Ma forse quella canzone è pensata per voce maschile, melodia senza tanti gorgheggi per uomini soli, senza donne, uomini che hanno perso l’amore. Un uomo la compose per la morte della donna amata dal fratello e il primo che la cantò fu un argentino, anche se ne fece un bolero. Ma forse sono solo stereotipi maschili. A volte gli uomini scrivono parole e musica che solo le donne sanno davvero cantare. A cui danno voce.
È che Nedo pensa a Pilar. Un amore che meglio tardi che mai, ma un amore sincero, come no hay otro igual. Lei, già maestra di ballo a Mindelo, un passato di gioie e dolori. Lui ex commissario. Si erano conosciuti e voluti bene. Due solitudini che si facevano compagnia. Il poliziotto e la ballerina: quasi un classico. Ma le cose belle non durano. Nemmeno gli amori tardivi. E Pilar se n’era andata, per un brutto male. Todo el bien, todo el mal. Capelli corti e occhi neri, carnato scuro. Pensare quanto era bella! Aveva la bellezza degli anni. Eppure la morte se l’è presa lo stesso, prima del tempo, senza rispetto. E ora lui si sentiva un sopravvissuto, lo era, e non gli importava più di niente. Ay, qué vida tan obscura, sin tu amor no viviré! Ah, l’augurio impossibile del tempo! Avrei dovuto augurartelo il tempo, Pilar, quando ancora ne avevamo, quando credevamo che ci fosse diventato amico. Quando mi dicevi che ero un cretino e mi baciavi. E ci baciavamo. Ora non si può più. Il tempo è solo a perdere.
Ripensava alla sua vita di commissario ex sessantottino. Gli anni bui dello stragismo nero e quelli di piombo dei brigatisti rossi. La speranza repressa di Moro e Berlinguer. I fatti di Genova, le percosse di polizia e carabinieri nella scuola Diaz e la vergogna. La mattanza della mafia. I migranti annegati senza soccorsi. Aveva servito il Paese, ma era venuto il tempo della pensione. Meglio così. Aveva messo l’Oceano tra il passato e il presente. A volte si sentiva con il figlio, gli chiedeva dei nipoti. Non era stato un buon marito, un buon padre e nemmeno un nonno. Si era rifugiato su quelle isole nel mare e nel vento, senza chiedere niente al futuro, se non pace e lontananza.
A Capoverde aiutava saltuariamente le forze dell’ordine locali a risolvere o non risolvere qualche caso. Non sempre e non per tutto ci sono soluzioni. Seguendo un’indagine era quasi morto, ma l’unica che era morta davvero e per sempre era stata Pilar. E ora poco o niente aveva più senso. Aveva perso la sua sicurezza, semmai l’avesse avuta, la sua autostima, che magari fosse stata strafottenza o presunzione. Dio chissà se esiste, ma, anche se esistesse, di sicuro non sono io, quindi meglio lasciar perdere. Arrendersi. Tirare i remi in barca, la barca in secco. E poi Dio mi ha tolto Pilar e non c’è soluzione né assoluzione per questo. Nessun perdono. Nessuna resurrezione per Pilar. Nonostante il risveglio della Primavera e la Pasqua dei cristiani, in maggioranza a Capoverde, non trovava conforto. Usciva trasandato, la barba incolta, e finiva per aggirarsi al Mercado Municipal, per scarsi e svogliati acquisti, lungo i banchi di frutta e verdura, dove donne lavorano e altre donne acquistano. Gli uomini se ne stanno all’esterno e si giocano a carte il tempo e la vita. A volte saliva sul promontorio che domina la baia a osservare i resti del Fortino del Rey, la più antica costruzione di Mindelo. Anche se non c’era molto da osservare, se non le rovine del passato. Ma forse era questo che lo attraeva. Quando si sentiva più forza e morale, prendeva a piedi il lungo mare, fino alla spiaggia di Langhina, un chilometro dal porto. Da giovane correva, nuotava, giocava a calcio. Si è stati giovani tutti, una volta.
Ora viveva in una piccola pensione sul porto di Mindelo. Due appartamenti. Uno, quello che aveva in affitto, l’altro dove abitavano la proprietaria, la senhora Beatriz, con il marito. Una donna matura, creola, sempre piacente. Il commissario ormai era uno di casa. E proprio a lui toccò la macabra scoperta. Rientrando alla pensione l’aveva trovata riversa nell’atrio. Giaceva nel suo sangue: una pallottola nel cuore. Era stata uccisa! Il proiettile era compatibile con quello dell’arma regolarmente denunciata, una Makarov calibro 9, che tenevano in casa. Sennonché la pistola era sparita. Nello stesso giorno era stato trovato morto anche il marito, sul retro di una bettola del porto che frequentava troppo spesso. Gli piacevano gli anfratti bui delle osterie dormienti, i bicchieri di vino profondi, i liquori, gli eccessi del canto, le cose bestemmiate. Pescatore, aveva perso la barca durante una notte di tempesta, giocandola a carte. Un colpo di pistola alla testa. La pistola era ancora nella sua mano sinistra. Una mano sbagliata, cattiva, l’ultimo tiro mancino della sorte. La pistola era quella di casa, la stessa con cui era stata uccisa la moglie. Le cose non andavano bene nella coppia, pare. Dicevano che Beatriz stesse per lasciarlo. Sei ancora ubriaco! Ma forse c’era un altro, chissà. Molto probabile si trattasse di omicidio suicidio. Gli indizi e le prove portavano a questo. Gli uomini non accettano un ruolo che non sia di potere, gli uomini uccidono le donne. Le uccidono perché non le amano davvero. E si uccidono perché non amano davvero nemmeno la loro vita.
Avevano un figlio, dicono fosse adottivo, forse un trovatello, uno dei niños de rua abbandonati sulle strade del porto, destinati a morire o peggio. Viveva da sé da tempo, presto si era reso indipendente dalla famiglia. Aveva ripreso la sua strada. Faceva il cuoco, aveva lavorato per il Festival Sete Sois Sete Luas e alla polizia, provato dal dolore, aveva confermato gli screzi della coppia, dichiarando di esserne, suo malgrado, a conoscenza. Dedichiamo poco tempo all’amore e invece dovremmo sapere cosa fare delle nostre vite, quali strade intraprendere, quali scelte. Essere felici è importante per vivere, per come si vive. Perfino per come si muore. Circondati di amore e di affetti, oppure soli.
Sulla panchina Nedo lascia scorrere i pensieri e la notte. Ha preso quest’abitudine. Aspetta. Tende l’orecchio all’indaffararsi sordo delle banchine, delle barche che salpano o approdano silenziose. Scruta l’oscurità equivoca del molo. I fiochi lampioni. La luce errabonda del faro sull’Ilhéu dos Pássaros, l’isolotto degli Uccelli, all’entrata di Porto Grande. Le piccole luci dei pescherecci e quelle al largo, rare, delle petroliere e dei bastimenti che solcano l’Atlantico, attraversando il mondo e le vite, incontro al caso, al destino, alla fortuna, a niente. È un attimo! Un uomo esce dal buio di quella notte senza stelle e senza luna. Arriva da dietro, non visto, colpisce il commissario con il calcio della pistola, poi gli si para davanti e gliela punta contro. Spara, mi fai un piacere, pensa il commissario. La testa gli scoppia e si sente svenire. Lo sparo risuona secco, il corpo si piega, cade a terra. È morto. Fine della storia.
– Commissario, aveva ragione! È il figlio. Ha ucciso la madre e inscenato il suicidio del padre.
Era la voce del capitano Perez, comandante di Mindelo, la pistola d’ordinanza ancora fumante. Gli uomini della polizia escono allo scoperto. Il commissario aveva fatto da esca e ora lo stavano medicando, la testa sanguinava. L’aggressore giaceva a terra, immobile. Due ambulanze erano state chiamate.
Il commissario aveva ascoltato gli alterchi dall’appartamento della pensione dove vivevano i proprietari, ma non era la voce del marito quella che sentiva. Con Sete Sois Sete Luas aveva collaborato i primi tempi, quando era giunto a Capoverde. Il direttore era uno bravo, toscano come lui: una testa piena di capelli e di idee. Si ricordava del ragazzo che faceva il cuoco che il Festival aveva licenziato perché inveiva di continuo contro i turisti che capitavano al Centro: maledetti, venite a rovinare le nostre isole, a prendervi tutto e ci tocca lavorare per voi! Il commissario aveva saputo che era il figlio dei proprietari della pensione. Correva voce si drogasse, che avesse debiti. L’aveva riferito a Perez. Il sospetto era che il ragazzo volesse entrare a tutti i costi in possesso dei beni dei genitori, compreso l’appartamento che il commissario aveva in affitto. E poi il marito, supposto omicida suicida, risultava essere destro. Così era scattata l’operazione.
A volte nemmeno l’amore serve, guarisce la bestia. Se di amore si tratta. Oppure ci lascia, e non basta a comprendere tutto il bene e tutto il male del mondo. Il commissario vedeva la luce blu intermittente e sentiva l’urlo dell’ambulanza. Quando lo misero sul lettino c’era un chiarore all’orizzonte e un riflesso sul mare. Era l’alba, ma sembrava un tramonto. Era vivo e pensava a Pilar.
Marco Celati
Pontedera, Aprile 2023
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P.S. Ho preso in prestito il verso -e altro ancora- di una poesia di Alda Merini: “Le osterie”, da “Vuoto d’amore”, Einaudi. Nella foto la Baia di Mindelo: alba o tramonto?
“Historia de un amor”
Tania Libertad feat. Cesaria Evora - Historia De Un Amor
Marco Celati