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mercoledì 26 marzo 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Anonimo veneziano? No! Anonimo vecchianese!

di Pierantonio Pardi - giovedì 06 febbraio 2025 ore 08:00

Ve lo ricordate, vero, quel filmone melodrammatico, Anonimo veneziano, che racconta la storia tragica di un amore all’epilogo tra Enrico, un musicista, e l’ex moglie Valeria. Dopo che Enrico le ha rivelato il terribile male che l’ha colpito, lasciandogli poco da vivere, Valeria gli si concede per l’ultima volta nella cornice di una Venezia decadente e disfatta. Lui era Tony Musante, lei Florinda Bolkan, il regista Enrico Maria Salerno e la colonna sonora struggente e malinconica di Stelvio Cipriani. Il film vide la luce nel 1970 e, all’ uscita delle sale cinematografiche si potevano vedere uomini e donne con gli occhi rossi e qualcuno che, con il fazzoletto, si asciugava le lacrime.

Bene! Dimenticatevi tutto questo, perché, qui, con l’anonimo vecchianese si piange, sì, ma dal ridere.

Ma chi si nasconde dietro all’anonimo vecchianese? Un certo Ezio Di Nisitte che è però un eteronimo o, se preferite, un nom de plume. Semplificando … non si conosce il suo nome, un po’ come succede con Elena Ferrante.

Ma eteronimo è un termine che mi rimanda a Pessoa, il poeta portoghese che aveva scelto di chiamarsi quando Ricardo Reis, quando Alvaro de Campos, quando Alberto Caeiro e altri ancora… e Pessoa mi riporta al suo brillante traduttore e scopritore, nonché sublime scrittore, Antonio Tabucchi, vecchianese pure lui e, guarda caso, vecchianese anch’io, che scrivo, nato in quel natio borgo selvaggio (che a differenza del divino Giacomo, ho però sempre amato) e portato alla luce dalle abili mani di una levatrice di nome Riesa, madre, pensate un po’, proprio di Antonio (ma il vero nome è Antonino) Tabucchi. Perché, ai miei tempi, siamo nel 1951, molte madri partorivano in casa. Ma non per questo, mi sono mai considerato un “fratello acquisito” di Antonio, anche se nel tempo l’ho conosciuto e siamo diventati amici.

E le “corrispondenze”, per ora, finiscono qui, ma ve le ho volute raccontare perché le ho trovato curiose.

Bene, ma allora chi è Ezio Di Nisitte? Non lo so, ma, anche se lo sapessi, non ve lo direi.

Però una cosa su di lui la voglio dire: è uno dei pochi, forse l’unico che ha scritto racconti in vernacolo pisano. Perché, mentre la poesia abbonda di poeti vernacoli (Renato Fucini, Archimede Bellatalla, Athos Valori …) e in teatro la Brigata dei dottori, nata nel 1931, ha rappresentato commedie in vernacolo (La gita premio, La Malintesa, oltre a parodie di opere celebri Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei ) in narrativa non ho mai trovato nessuno, per quanto riguarda, beninteso, l’area pisana, che abbia scritto romanzi o racconti in vernacolo.

In questo libro che vado a raccontare ci sono sessantadue racconti , suddivisi per aree tematiche, dove, ad esempio, nella prima “La Merda”, troviamo storie dal titolo esplicito, Pulisciti! e Ariaccia e nell’ottava “Toccamosele” ecco che abbiamo Quando ci vole ci vole! - Io ‘ un son superstizioso, però … e Buonanotte ar secchio.

Io mi ricordo che solo il primo Stefano Benni del Bar Sport e del Bar sotto il mare mi aveva fatto ridere allo stesso modo di queste storie. Perché la comicità di Ezio è caustica, esilarante, irriverente, sorprendente, ti cattura e non ti lascia andare.

Mi viene in mente a questo proposito una riflessione di Giovanni Macchia che, a proposito del riso, cita Bachtin secondo cui : (…) il riso ambivalente e universale non esclude la serietà, ma, (…) la purifica e la completa. La purifica dal dogmatismo, dall’unilateralità, dalla sclerosi invalidante, dal formalismo, dagli elementi di paura e di intimidazione, dalla didatticità. Il riso è manifestazione di libertà e sarà anche per questo che la violenza e l’autorità non usano mai il suo linguaggio. La tradizione accomuna il riso alla pazzia. Sarebbe meglio riconoscerne la saggezza. (Giovanni Macchia, Bachtin e Rabelais. Il riso e il romanzo)

Ecco, è in questa accezione che vanno letti i racconti di Ezio, riflettendo sul riso che provocano, perché la loro comicità non esclude, ma anzi spesso include elementi di serietà e profonda riflessione.

Ed ecco cosa scrive nella prefazione un certo Gecche (un altro eteronimo):

(…) Un libro fatto di pagine popolate da storie allegre, irriverenti e un po’ scanzonate che dipingono la comunità dove ha vissuto Ezio, una comunità piena di personaggi curiosi e un po’ strambi, ma reali, così veri che la loro genuinità e le loro riflessioni risultano semplicemente disarmanti. (…) In questo libro ci siamo dentro un po’ tutti e questo è il bello di Ezio; si racconta raccontandoci con semplicità estrema e mette a nudo il nostro lato poetico, la nostra sensibilità, le nostre emozioni, e lo fa nel modo meno artificioso possibile raccontando una vita passata, presente e futura fatta di normale quotidianità e di gesti semplici che, mescolati ad arte, come nelle sue ricette culinarie, si rivelano un piatto squisito che non vorremmo finisse mai. Attraverso la semplicità degli ingredienti e il divertimento Ezio ci trasmette un fiume di sentimenti.

Perché Ezio è anche un ottimo cuoco e in questo libro ci regala gustose ricette (la zuppa, spaghetti sulle arselle, aglio, olio e peperoncino, i cenci …) sulla scia di Manuel Vasquez Montalban e di Isabel Allende.

E, nella postfazione, ecco cosa ci racconta Cibi (altro eteronimo):

Ezio scrive, parla e ascolta in un dialetto vecchianese ripreso da quello che era un tempo, riuscendo a fondere ciò che è stato, ciò che è, e ciò che sarà il paese di Vecchiano. Racconta storie, barzellette, verità e bugie, caratterizzate dal suo modo simpatico e colloquiale di interagire con il lettore e farlo riflettere, ridere e piangere.

Bene, mi sembra venuta l’ora, adesso, di uscire dal paratesto ed entrare finalmente nel testo, andando ad assaggiare alcuni frammenti della scrittura di Ezio Di Nisitte.

Nel racconto Ariaccia, Ezio racconta di quando, col suo pullmino ‘900 andò a Paganico per prendere delle vernici, ma d’un tratto il pullmino si ruppe e lui, nell’attesa che il meccanico lo riparasse andò a pranzo in una trattoria dove fece una scorpacciata pantagruelica di fagioli felice per l’assenza di Aida, la moglie, visto che:

L’unio problema è sempre stato ir “dopo” e per questo da quando presi moglie l’avevo sempre scanzato, ma l’aroma di ve’ fagioli con la cipolla e ‘r pomodoro, non mi fermiede e ne mangiedi una tegamata.

Tornato a casa, trova l’Aida tutta infervorata che gli dice di avergli fatto una sorpresa per la cena della sera.

Mi mise una benda all’occhi e mi portò verso la ‘ucina a sedé, capotavola, stava per levammela quando soniede ‘r telefano “vado a risponde, te m’araccomando ‘un ti levà la benda !” mi disse l’Aida.

Rimasi solo … e mi inclinai da una parte, arzai la gamba e lasciai ‘nda ‘na popò di scurreggia pareva un tono, a parte il rumore, ‘ir puzzo denso mi costrinse a cercà tastoni ‘r tovagliolo e sventolammelo davanti ar muso, feci un sospiro e quando l’aria sembrava migliorata … mi prese uno stropiccione che mi obbligò a arzà l’altra gamba e lì … superai me stesso, un rumore contornato di preambolo e tremolio con un puzzo che l’ova marce a paragone potevino esse l’acqua “berva”, intanto l’Aida durò un artro poino la conversazione e appena finita, spiegai ‘r tpvagliolo e mi ricomposi.

“Ezio, hai guardato di sotto la benda?” mi chiese l’Aida.

“No no, sono stato vi bono” ni risposi.

A quer punto mi levò la benda e mi trovai davanti la grande sorpresa … Dodici invitati a cena, a sedé d’intorno a me, che m’auguravano buon compleanno!

La vis comica, è noto, noi toscani l’abbiamo nel dna, da Rustico Filippi a Cecco Angiolieri, da Boccaccio a Pietro l’Aretino è connaturato in noi il gusto della beffa, dello sberleffo, della battuta micidiale, ed Ezio ne è, a pieno titolo, un originale epigono, ma, oltre a questo, lui tinge la sua scrittura di riflessioni esistenziali sul mondo contemporaneo ed ecco quindi che, quasi emulando Milan Kundera, tesse in queste righe un divertente elogio della lentezza:

Cane delle berve … cane!

Ma che banda è? ‘Un fa a tempo a scattà ir verde che c’è subito uno che ti sona! (…) ‘Nzomma tutti presi dalla frenesia del nulla, o come è possibile che ‘un si possa aspettà un seondo, ma poi per indà dove? Giri come una trottola, còri come tu fossi su un tapirulan che ti fa ‘nda più sodo di Mennea, risii di ruzzolà per le tère e ner mentre tutti l’anni si sente discore della legge di stabilità e noi semo sempre più in bilio …

Oh gente, ma ve lo volete mette nella chiorba che a forza d’indà sodo s’ariva primi alla fine! Nello spingi spingi generale, nell’arraffa arraffa delle genti, ner tira molla della vita a velocità supersonia, va a feni che ci si dimentia anco di respirà

E c’è un altro aspetto che mi piace sottolineare di questo libro:

in un tempo dominato dalla sagra del virtuale, dalla bulimia dei like e dagli emoticon che imperversano sui vari social media, i personaggi descritti da Ezio sembrano quasi provenire da un’altra epoca perché hanno il deprecabile vizio di incontrarsi in piazza e di chiacchierare a volte fino all’alba di cose di politica, di sport, di puttanate varie, dandosi magari anche dello stupido, ma sempre in maniera cordiale:

(…) si letiava e dopo du’ menuti ci si pagava da bé.. C’era ir confronto, ci si guardava nell’occhi e contava parecchio come si diceva una parola, potevi mandà affanculo quarcheduno ma s’intendeva, se era detto alla bona o se era ‘gnorante, dall’espressione der muso, dalla grinta o dalla dorcezza dell’occhi, la bocca dritta o la bocca torta …

Ecco, questa è l’umanità che trapela da questo libro che ci fa assaporare l’intimità di un paese e della sua gente:

Vecchiano, prima della caduta socio – agricol – cultural – grebano – aggregativa, vantava di locali chiamati barri o grubbi; pieni di popolo che tra du’ discorsi a bischero, un ponce a bricco e una chiacchiera seria, trovavino ir tempo di fa una partita a carte, frippe, billiardino o la più nobile (seppur nata da contadini), partita di biliardo.

Saudade? Rimpianto? Credo che nei paesi certe usanze sopravvivano ancora ma purtroppo solo per gli anziani e per i vecchi.

Originale e spassosa poi la quarta di copertina che invita a comprare questo libro per i seguenti motivi:

1. Per mettelo sotto ‘r gambo della tavola per ‘un falla traballà

2. Per paravvi dar sole quando picchia sodo.

3. Per stiaccià le mosche che ti ronzano sur muso

4. Come riarzino se ‘un arrivi a piantà un chiodo ner muro

5. Per tirallo ner muso a uno stronzolo

6. Per rimpiattacci dentro un altro libro più bello

7. Per facci seccà le foglie o i fiori che vi garbano

8. Per fallo legge a’ nepoti e dì d’avello scritto te

9. Per passà du’ menuti a ride

10. Per passà du’ menuti a riflette

11. Perché se fenisce ‘un lo so se lo ristampo

12. Perché ner tempo potrebbe doventà d’un valore inestimabile

13. Per finanzià Ezio così poi ne fa un artro meglio

L’autore:

Oltre a questo, Ezio ha scritto anche “Tutto fumo, tutto arrosto” sempre per MdS

Pierantonio Pardi

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