Coraçào
di Marco Celati - mercoledì 20 marzo 2024 ore 09:00
Che strani luoghi i porti! Ci sono i pescatori che scaricano il pescato, i traghetti che traboccano i passeggeri sulla banchina, il vociare diffuso, il fragore di macchine e macchinari, il grido dei gabbiani, i ragazzi di strada e quelli che si tuffano dal molo. E ci sono mare e cielo che circondano tutto, onde lunghe, creste al largo nei giorni ventosi, velature e nubi, raramente pioggia. Perfino silenzi. Il sole che si leva, incombe e tramonta e, la notte, la volta stellata e a volte qualche stella cadente. Così dal caos, l’ordine assoluto e un firmamento di stelle danzanti. Che strani luoghi le isole oceaniche, lontane, ferme nella deriva dei continenti e del tempo!
C’era anche una panchina nel Porto di Mindelo, sull’isola di San Vincenzo, dove il Commissario Favati Nedo passava il tempo con Dores Carneiro do Nascimento e a volte si baciavano o recitavano Montale. Lei era più brava, l’aveva studiato in Italia. C’era la panchina, ma il Capitano Alvarez l’aveva fatta togliere perché era stata luogo di pericoli e di agguati che il Commissario Favati aveva la capacità di attirare, anche qui, ormai in pensione, nell’Arcipelago di Capo Verde. Così ora sedeva sul muretto del molo, perso nella scrupolosa assenza dalle cose. Rimandava a mente una poesia, un esercizio che calvinamente s’imponeva: era una breve poesia di Pessoa che diceva «Voglio, avrò —/ se non qui,/ in altro luogo che ancora non so./ Niente ho perduto./ Tutto sarò». Era così evocativa, giusta da ripetere per darsi speranza, eppure non lo convinceva perché molto si perde e tutto è un concetto assai sopravvalutato. Quasi quanto l’intelligenza e, talvolta, persino il sapere. Una poetessa polacca, il nome era troppo difficile per ricordarlo, forse un Nobel, diceva che tutto era una parola sfrontata e gonfia, che andrebbe scritta tra virgolette, che fa finta di concentrare, includere, contenere e avere, senza tralasciare nulla, e invece è soltanto un brandello di bufera. Più o meno così.
Aspettava Dores e quando la vide arrivare lungo il molo pensò che non si può chiedere di più al sole o di meno alla pioggia. Né ancora tempo al tempo. Si può, anzi si deve, pensare a un tempo più giusto. Un mondo diverso. Eppure sentiva, come la poetessa polacca, che finché c’è quel dipinto di Vermeer della donna che versa il latte nella scodella o anche l’altro della ragazza con l’orecchino di perla, finché ci sono quel mare e quel cielo e quella lieve sera, il mondo non merita la fine del mondo. Poi c’è la vita. L’amore. E tutto il resto è ombra.
Quando Dores si sedette accanto a lui, le dette un bacio, ricambiato, sulla bocca e fu lui a citare gli ultimi versi di “Corno inglese”: «il vento che nasce e muore/ nell'ora che lenta s'annera/ suonasse te pure stasera/ scordato strumento,/ cuore».
⁃ Commissario! Ora perché Montale? Mi prendi in contropiede, che succede?
⁃ Scusa, è un po’ che ho il cuore ballerino.
⁃ In che senso?
⁃ Ballerino.
⁃ Mi devo preoccupare?
⁃ No, no. Stai qui con me, vuoi?
⁃ Sono venuta apposta! Sei innamorato?
⁃ No!
⁃ Ah!
⁃ No, sì! Di te…
⁃ Cretino!
⁃ Ti dispiace?
⁃ No.
Restarono un po’ lì, in silenzio, il tempo è relativo e fecero scendere la sera. Poi salirono da lui, nella casa in affitto sul Porto. Qualcosa da mangiare c’era e pure bere, amarsi e dormire.
La mattina sul terrazzino spirava vento di mare: gli Alisei propizi a naviganti, villeggianti e residenti. Fecero colazione.
⁃ Buon giorno, Dores!
⁃ Bom dia, Commissario! Dormito bene?
⁃ Muito bem!
⁃ E il cuore ballerino?
⁃ Batte, forte.
Uscirono. Dores aveva voglia di fare due passi per Mindelo, nelle straducole belle e indecorose del Porto. Mindelo ha una scontrosa grazia, nemmeno fosse Trieste, diceva, tenendogli il braccio, spingendolo quasi. Guarda che sono le vie oscure della città vecchia, stradacce, gli rispondeva, da poliziotto qual era. Poliziotti si resta. C’è tanta gente ammodo, ma anche per male, tipi così così. «Sono tutte creature della vita e del dolore;/ s’agita in esse, come in me, il Signore./ Qui degli umili sento in compagnia/ il mio pensiero farsi/ più puro dove più turpe è la via». Recitava lei, dotta e scanzonata.
⁃ Montale, ancora?!
⁃ No, Saba, ignorante, il Canzoniere!
⁃ Ecco.
Un’altra citazione. Chi si somiglia si piglia, pensò il Commissario. Poi fu un attimo, un rumore e un grido. La motoretta con due ragazzi a bordo sbucò da un vicolo, li affiancò, quello dietro strappò la borsa dalla spalla di Dores che urlò di dolore. Il commissario prese a correre dietro al motorino, un vecchio Ciao arancione arrugginito, che arrancava, sgassando, sulla ripresa, ma era lui che arrancava di più. Aveva perso lo smalto dei tempi migliori e la rincorsa fu breve. Il cuore cominciò a martellargli nel petto e nella gola. Si fermò. Affanno, fame d’aria. Girava tutto. Si accucciò a terra. Dores arrivò, tenendosi la spalla. Nedo! Gridò. Se lo chiamava per nome era segnaccio. La guardò per quanto era bella, pensò accidenti a te e fanculo Saba, te l’avevo detto, e svenne.
Era niente, sprofondato nel sonno, nel buio, nessuna elaborazione di pensiero né articolazione di movimento, nessuna cognizione del tempo, vuoto, immobilità. Come annegato, sospeso sul fondo. Poi un principio di sofferenza e dolore, il ricordo di qualcosa, un chiarore oltre le palpebre socchiuse. Riaffiorava la conoscenza, un barlume: aprì gli occhi, vide ombre sfocate, era sdraiato, collegato a qualcosa che gli procurava fastidio. Scosse la testa, ansia, respiro. Che era, dov’era? Le ombre assunsero un profilo: una era Dores, gli diceva qualcosa, forse lo stava chiamando e a lui venne da piangere. L’altra era un uomo magro, stempiato, con un camice bianco. Bentornato tra noi! Questo lo capì. Aveva elettrodi e cavi da tutte le parti, perfino alle dita. Era collegato, con un ago nel braccio, a una flebo, anzi due. Giaceva in un letto, attaccato a una macchina che tracciava un grafico, emettendo un segnale. Richiuse gli occhi, gli parve di assopirsi, spossato, ma sollevato. Quando riemerse di nuovo, in quel senso di sollievo, Dores gli teneva la mano, quella libera da grovigli e accidenti, e il Professor Manuel Solinas de Andrade, cardiologo dell’Hospital “Baptista de Sousa” di Mindelo, specializzato nella diagnosi e cura di cardiopatie e altre gravi patologie connesse al cuore e suoi trascorsi, gli si presentò.
⁃ Come va, Commissario? Dores mi ha detto che è un commissario.
⁃ Ex, tanto tempo fa.
⁃ Come si sente?
⁃ Insomma.
⁃ Dolori al petto, affanno?
⁃ Affanno, un po’. Cos’è stato?
⁃ Lei che ricorda?
⁃ C’erano due scippatori in motorino, un Ciao, li faceva la Piaggio a Pontedera, ne avevo anch’io, da ragazzo, uno arancione, me lo fregarono sotto casa, era il regalo del babbo per la maturità.
⁃ La memoria remota funziona, anche troppo, che altro ricorda?
⁃ Aveva il variatore, serve per le salite…
⁃ Abbiamo capito, di più recente, intendo…
⁃ Li rincorrevo, il cuore batteva forte e poi più niente.
⁃ Va bene.
⁃ Come va bene? Che ho avuto, un infarto, un arresto cardiaco?
⁃ No, solo un collasso, è svenuto, ha perso conoscenza.
⁃ Il cuore ballerino!
⁃ In effetti il suo cuore è strano: un po’ scordato, nel senso di stonato e di trascurato. Quanto tempo è che non ha passato una visita?
⁃ Una vita.
⁃ È tachicardico, con episodi di bradicardia, ci sono extrasistoli, la valvola mitralica disfunzionale e un sospetto prolasso alla radice dell’Aorta discendente. Ha un cuore cedevole, troppo grande, Commissario. Solo in qualche parte, per fortuna e per adesso, la macchina va.
⁃ Avevo un soffio al cuore…
⁃ Un po’ più di un soffio: elettrocardiogramma e ecocolordoppler fanno vedere altro.
⁃ Ma ho sempre fatto sport, campestri, atletica, calcio, nuoto, il poliziotto…
⁃ E allora? Il cuore è un organo, fatto di tessuti e i tessuti si logorano. Lei forse ha la stessa forza muscolare di un tempo? Sapesse quante cose ho fatto anch’io da giovane! Ho imparato pure l’italiano. Lei con il portoghese come se la cava?
⁃ Mica tanto bene.
⁃ La teniamo ancora qualche giorno in osservazione, la stacchiamo dalla macchina, ancora qualche flebo e le somministriamo dei medicinali. Poi vedremo. Lei intanto riposi. Bom dia, Commissario.
⁃ Bom dia, Professore, grazie.
Rimasero lui e Dores in quella stanza di ospedale. C’erano altri due letti, momentaneamente vuoti. Il Commissario disse a Dores, sono un rottame e Dores rispose, sei un cretino. Lei gli voleva bene, si capiva, gli teneva la mano. Come va la spalla? Non è niente. E nella borsa che c’era? Documenti, pochi soldi e “Ossi di seppia”. Per i canarini? Che spirito di patate: un’edizione rara a cui ero affezionata. Sei andata alla Polizia? Sì, e ho bloccato la carta di credito, ora riposati, torno a trovarti domattina, ciao. Lo baciò sulla bocca e se ne andò. Il cuore ritmò un sensuale Batuko, passò a un vivace Funanà e si acquietò con una Morna sconsolata. Si addormentò.
Verso sera, forse era sera, stava in un mezzo dormiveglia, di quelli che a volte apri gli occhi e poi li richiudi, ricevette una visita.
⁃ Capitano Alvarez!
⁃ Oi, Commissario, come stai?
⁃ “Oi”, nel senso di “ciao”?
⁃ Sì, nel senso del portoghese che non parli, mentre io l’italiano sì. Ma sento che lo spirito non ti manca!
⁃ Insomma, sto così così, sembra che abbia il cuore un po’ malandato…
⁃ La testa no? Metterti a correre dietro ai malviventi! Lascia fare a noi…
⁃ Te l’ha detto Dores? Ha fatto la denuncia?
⁃ Sì, un esposto, ma non l’ha ancora firmato, dice che aspetta te.
⁃ Perché?
⁃ A me lo chiedi? Fammi sapere come vanno le cose, parlerò anche con Solinas: è un bravo medico. E in cardiologia c’è Isabel, Isabel Santos, un’infermiera che conosco, se hai bisogno…
⁃ Non ti disturbare, mi ripiglio, l’erba cattiva non muore mai.
⁃ Questo è certo. Ora scappo, scusa, devo tornare al Comando, scartoffie da firmare. Ricordi?
⁃ Ricordo, ricordo…
⁃ Mi raccomando, abbi cura di te e riposati, almeno qui in Ospedale e, soprattutto, non correre dietro ai guai. Ciao.
⁃ Oi, grazie della visita!
Tutti volevano che si riposasse. Almeno qui in Ospedale! E che altro si poteva fare in un ospedale? Era ancora appeso a una flebo; una volta slacciato dagli altri macchinari sinistri, in compenso, gli avevano messo un holter per monitorare le sue pulsazioni e lo imbottivano di pasticche. E ansiolitici, amari come il veleno. Dice, danno assuefazione. Nemmeno con tre cucchiaiate di Nutella, l’avrebbero “assuefatto”. Fanculo! Chiuse gli occhi e, dopo un infinito numero di giravolte nel letto, nonché di ribaltamento e maltrattamento dei cuscini, finalmente un sonno pietoso concesse alle sue smanie una momentanea tregua.
A tarda notte però la schiena, la cervicale e la prostata ripresero a imporre la loro tortura. La stanza e tutto erano in penombra, ma c’era una luce azzurrina che filtrava dalla porta socchiusa della camera e si sentivano rumori, poi silenzio e ancora rumori. Ci sarà qualcuno, personale sanitario, pensò, chiederò un sonnifero, un calmante e magari dov’è il bagno. Così provo a tornare in posizione eretta e sgranchirmi un po’. Infatti mise a terra le gambe e si tirò su, reggendosi all’asta della flebo che era attaccata al braccio e continuava ad alimentarlo per endovena, goccia a goccia, come fosse una pianta invasata. Che sto facendo? Una cazzata. Si sentiva debole, il cuore batteva, ma battere deve battere un cuore. Semmai era la testa che girava e non deve girare. E fosse il male della testa, a girare! Comunque per il principio fisico ed esistenziale che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, fu l’asta della flebo, sollecitata dalla presa e appoggiata su rotelle, a spostarsi in avanti. Sentì tirare l’ago della cannula sul braccio, oi gridò e non era ciao, andò dietro all’asta e si mosse. Un po’ di nausea, quel tanto di affanno e di aspettativa prima di un’impresa, ma ormai era partito. Un passo dopo l’altro, si avventurò nel corridoio. In ciabatte, con il camice ospedaliero bianco a mezza gamba, sorreggendo la flebo con andatura malcerta, sembrava Diogene di Sinope, il Cinico, in cerca dell’uomo.
Nel corridoio solo qualche pallido neon d’emergenza: era pressoché al buio. Non dovrebbe essere così, pensava, avanzando verso la stanza da cui provenivano i rumori ovattati e la luce azzurrina. Qualcosa non quadrava e un poliziotto resta sempre un poliziotto. C’è qualcuno? Chiese, aprendo la porta. Qualcuno c’era, due tipi, uno teneva uno zaino aperto e l’altro infilava dentro qualcosa, farmaci, flaconi presi dalla vetrina. Tante confezioni. Il primo dei due gli si fece incontro e si beccò in faccia l’asta della flebo brandita a due mani che lo fece piegare a terra con il naso sanguinante. Come il braccio del Commissario che imprecava con l’ago uscito dalla vena. Ma l’altro fu più lesto e lo colpì con un pugno. La testa girava, il cuore svalvolava, si sentiva mancare, ma gli parve anche di sentire: Parar! Mãos ao ar! Fermi! Mani in alto! E gli parve di vedere un’infermiera, sì un’infermiera, che brandiva una pistola. E svenne. Di nuovo!
Si svegliò che era ancora a terra e pensò, sarà stato un sogno, un incubo, però il braccio gli faceva male, e non solo il braccio, e lo stavano pure schiaffeggiando.
⁃ Commissario, como vai?
⁃ Stavo meglio prima, ma va già bene se la pianta con quei ceffoni!
⁃ Desculpe, Commissario, sou Isabel Santos, sou arrivata appena in tempo.
⁃ L’infermiera?
⁃ Não sou enfermeira, sou policial, una poliziotta: o Capitão Alvarez, de acordo com o Professor Solinas, mi ha fatto infiltrare entre l’equipe do Hospital.
⁃ Parla un po’ l’italiano?
⁃ Meu marido è italiano.
⁃ Che succede?
⁃ Tenevamo fortes suspeitas que havia um tráfego de drogas de origem hospitalar, do Hospital: opioides, opiáceos, morfina e outras substâncias. E esta noite l’abbiamo sventato. Também com a sua ajuda. Anche grazie a lei. Avverto immediatamente ao Capitão, ele ficará feliz! Sarà contento.
⁃ Immagino, quanto ficará…
Contentissimo! Il Capitano arrivò di buon mattino per congratularsi con lui. Infatti gli disse che era un incosciente, un irresponsabile, un pericolo per sé è per gli altri. Che aveva rischiato di mandare a monte un’indagine che, d’accordo con Solinas, avevano messo in atto su un giro di sostanze, fentanyl, soprattutto. Che avrebbero potuto risalire ai committenti e invece, grazie al suo gesto avventato, chissà se sarebbe stato ancora possibile. Il Commissario rimase immobile, sprofondato nel suo lettuccio d’ospedale senza proferire una sola parola. Aspettava il peggio. Che sopraggiunse di lì a poco. Dores però si limitò a dirgli sei un cretino. Comunque fu discreta perché gli voleva bene. Simulò un bacio e glielo sussurrò dolcemente nell’orecchio. Prima di congedarsi Alvarez disse, a proposito abbiamo beccato gli scippatori.
⁃ Bravi, come avete fatto?
⁃ Siamo capaci anche senza il tuo aiuto, Commissario. Avevi detto un Ciao arancione. Ce ne sarà solo uno, credo, in tutta Mindelo. Si tratta di due minori: lo scippatore è un balordo di qui, quello alla guida, è suo il motorino, è un italiano, immigrato con il padre che si arrangia sul Porto. Di sbandati bastavano i nostri…
⁃ O Capitano, mio Capitano, non mi diventare xenofobo, adesso!
⁃ No, è che mi dispiace per questi ragazzi che si perdono. Inutile che vi dica che non abbiamo trovato nessuna refurtiva. Procedo con la denuncia? Dores vieni al Comando a firmarla?
Dores e il Commissario si guardarono, lei scosse la testa e lui rispose di no, che non importava, avevano già dato troppo disturbo e di lasciar perdere. Alvarez disse grazie, e non si capiva grazie per cosa, sorrise, augurò pronta guarigione, s’impegnò anzi, per una cena con le rispettive signore nel miglior ristorante di Mindelo e se ne andò.
Dores stette un po’ accanto al letto, in silenzio, seguiva i suoi pensieri e il Commissario avrebbe dato il suo cuore per sapere quali fossero. Ma i pensieri non si conoscono ed è meglio così. Mitigano il frastuono delle parole. Evitano offese o piaggerie, frasi di circostanza o di effetto, si oppongono agli impulsi verbali, preparando un’uscita migliore. Forse Dores si chiedeva che ho a che fare con quest’uomo, anche più anziano di me, malandato e avventato. Oppure pensava ho trovato questa persona per passarci insieme i miei giorni e farsi compagnia. Se pensava questa cosa era la stessa del Commissario, ma i pensieri non si conoscono ed è meglio così.
A metà mattina Dores se ne andò. Torno domani, oggi non posso, scusa, ho da fare con i miei. Volevano venire a trovarti, ma gli ho detto di no. Ho fatto bene? Hai fatto benissimo. Ciao. Ora di pranzo, a mezzogiorno. Mai pranzato a mezzogiorno! In tutti gli ospedali del mondo si mangiano le stesse cose: riso in bianco, purè, frutta cotta. Orario a parte, gli era sempre piaciuto il mangiare degli ospedali.
Nel pomeriggio arrivò il Professor Solinas. Sorvoliamo su cosa è successo, disse, prendiamolo come un test per il suo cuore. Ho guardato e riguardato l’ecocardiogramma e il tracciato dell’holter che le abbiamo tolto. Confermo la diagnosi sulla valvola mitralica e la radice dell’Aorta. Il cuore però va ancora bene. Domani, salvo imprevisti, la dimetteremo. Le consiglierò la visita di un cardiochirurgo che le dirà se è necessario intervenire oppure se sia sufficiente curarsi. Uno bravo è il Professor Gallego, all’Hospital “Agostinho Neto”, a Praia, la capitale, nell’Isola di Santiago. Altrimenti pensi ad un rimpatrio.
Grazie Professore. Non mi ringrazi Commissario, mi stia a sentire, piuttosto. Come le ho già detto, il cuore è fatto di tessuti e i tessuti si logorano. Tutto in noi nasce, cresce e finisce. È questo il processo: possiamo regolarne l’esito al meglio, ma declinare è nella nostra natura di viventi. L’unico modo per rispettare la vita o sopportarla -dipende- è farsela bastare. Lei è fortunato, Commissario, ha avuto un’esistenza piena, affetti, una bella signora le è vicina. Conosco Dores da quando era piccola, la famiglia do Nascimento e la mia sono entrambe di origini lusitane e ci frequentiamo da sempre. E, mi creda, le ripeto, è un uomo fortunato. Si faccia bastare la vita, Commissario, dia retta! Questa è la miglior ricetta che posso darle. Le prescriverò anche dei farmaci e un ansiolitico, ma non faccia caso a nessuno dei chilometrici bugiardini di quei medicinali: potrebbero contenere l’opera omnia di Pessoa con tutti i suoi eteronimi.
⁃ Conosce Pessoa, Commissario?
⁃ Un po’, attraverso Tabucchi.
⁃ Ottimo. Questo sport, questa attività soprattutto le consiglio: leggere. Fa bene alla salute.
⁃ Scrivere?
⁃ Mmm… Meglio leggere.
Il Commissario dormì il sonno del miracolato, se non proprio quello del giusto, almeno quello del giustificabile. Alvarez aveva ragione, tutti avevano ragione, ma, alla fine, aveva evitato un furto di sostanze stupefacenti. Facciamo del nostro meglio per peggiorare il mondo! Gli sembrò che anche la cervicale, la schiena e la prostata concedessero una tregua, riconoscessero un armistizio. Almeno loro, con quel che nel mondo succede! Poche gocce di melatonina e si concesse all’abbraccio di Morfeo, nemmeno fosse quello di Dores.
La mattina lo svegliò il turno che passava, le pulizie, il personale infermieristico, sul comodino c’era un libriccino. Lo guardò, non era un libriccino, lo ripose nel cassetto. Dores arrivò. Ho parlato con Solinas, mi ha detto che ti dimettono, sono venuta in auto, così ti accompagno a casa, farò la spesa e stiamo un po’ insieme. Ti devi riguardare Nedo. Oi, di nuovo il nome, brutto segno! Mancava solo che dicesse pure il cognome, Favati, e sarebbe stato perduto. Ma per fortuna proseguì: Commissario non mi fare stare in pena, non voglio più, ho deciso che avrò cura di te e anche tu devi averne. Di me? Di te di sicuro, pensò lui senza dirlo. Dores, guarda un po’ cosa ho trovato stamattina? Apri il cassetto del comodino.
⁃ No!!! Ma questo è il mio libro, lo riconosco, ci sono gli appunti a lapis: “Ossi di seppia”, la prima edizione di Piero Gobetti del 1925! È una rarità. C’ero così affezionata! L’avevo nella borsa che mi hanno scippato. Ma com’è capitato qui?
⁃ Non lo so. Era sul comodino, stanotte qualcuno deve averlo riportato.
⁃ Sai quanto vale? Forse questo qualcuno non conosce il suo valore…
⁃ O forse sì, chissà.
Il Commissario pensava che tutto cambia o può cambiare: le persone, le cose. E pensava anche che niente è per sempre. La vita non lo è, nemmeno l’amore e non si sa quanto ci resta da vivere o da amare. I pensieri non si conoscono, ma Dores aveva gli occhi lucidi e lo abbracciò così forte da fargli mancare il fiato, da fargli scoppiare il cuore. E questa volta un bacio glielo dette davvero. Era così bella e lui, così cretino!
Marco Celati
Pontedera, Marzo 2024
______________________
Ringrazio Marco Abbondanza, direttore del Festival Sete Sóis Sete Luas, per la consulenza del creolo capoverdiano, la miscela italo portoghese di qualche dialogo è una mia sgrammaticata invenzione. Come tutto il racconto, del resto: ignoro le condizioni della sanità di Capo Verde. Il Festival, oltre che in campo culturale, recentemente ha attivato scambi anche di carattere sanitario, tramite medici volontari dell’Università di Coimbra, sull’Isola di Brava, gemellata con Pontedera. Tributi, oltre le citazioni: “Memorie di una geisha”, il film, e Wisława Szymborska, poetessa polacca, Nobel per la Letteratura 1996. Quanto a caos e stelle danzanti, vabbè, è Nietzsche, un frammento. Scrivere è raccontare, attingere, mescolare le cose e a volte creare. Non so se so farlo, non credo, ci provo, ma ha ragione il Professor Solinas: meglio leggere.
Marco Celati