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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

L'astronauta

di Marco Celati - lunedì 19 ottobre 2015 ore 06:30

I razzi si erano accesi, il conto alla rovescia era iniziato...Nine, eight, seven, six, five, four, three, two, one, zero, GO! Il modulo si staccò dalla stazione orbitale ISS con uno scoppio che gli implose dentro e un'accelerazione che lo spinse indietro, schiacciandolo. Le vibrazioni gli sembrarono interminabili, il battito cardiaco aumentò vertiginosamente, il respiro si fece affannoso, la sudorazione nella tuta raggiunse l’eccesso. Aveva fatto centinaia di ore di addestramento al centro spaziale europeo, analisi e contro analisi, esercitazioni fisiche estenuanti, immersioni: era il meno dotato, eppure se l'era cavata. Ma era inutile: anche al simulatore, quella specie di giostra maledetta, le accelerazioni delle partenze erano state una sofferenza. Non sarebbe mai stato un vero astronauta, non c’era niente da fare. Del resto non lo era, era uno psicologo.

Si sentiva andare via la testa poi, quando sembrava che non avrebbe potuto sopportare oltre, le vibrazioni cessarono, il battito e il respiro tornarono normali, tutto tornò calmo e sotto controllo.

“Congratulazioni! Modulo in orbita regolare: tutto ok ?!”

Gli giunse la voce rassicurante della base.

“Qui modulo. Tutto ok”

Rispose, ostentando sicurezza. Si sentirono degli applausi.

Che ci faceva uno psicologo nello spazio? Se lo chiedeva anche lui. Però lo sapeva, eccome. Da piccolo il suo sogno era sempre stato di fare il cosmonauta e del resto era un po’ il sogno di tutti i ragazzini ardimentosi. Aveva visto da bambino alla televisione in bianco e nero l’atterraggio del primo uomo sulla Luna: “Un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l’umanità”. Più che passi erano stati saltelli, ma che fascino! E pensare che c’era chi diceva, fra questi anche il suo amato e incredulo fratello Carlo, che sulla Luna non eravamo mai sbarcati: era stata tutta una finzione architettata dagli americani, anzi gli Stati Uniti, nello scenario di guerra fredda contro i russi, anzi l’Unione Sovietica! Che tempi... No, era impossibile che non fosse stato vero, doveva esserlo: era il progresso, il futuro che già iniziavamo a frequentare. Amava i film di fantascienza. Aveva visto l’allunaggio e aveva vagamente capito che un telecronista, Tito Stagno, questionava con un altro, Ruggero Orlando, sul momento preciso dell’evento; era nella nuova cucina di formica bianca e rossa con il suo babbo. La sua mamma per Carnevale lo mascherava sempre da Pierrot, una mascherina triste, un vestito bianco con grandi bottoni neri e una lacrimuccia dipinta sotto un occhio. Gli si addiceva in fondo, sarebbe sempre stato di indole malinconica, la madre lo sapeva. Però in cuor suo gli sarebbe anche piaciuto un travestimento da astronauta, ma non lo disse mai. Anche perché il vestito da Pierrot, l’aveva cucito la mamma in casa e una tuta spaziale chissà dove si comprava e quanto costava. Ricordava ltutto questo con commozione: erano memorie fluttuanti nel tempo e nello spazio, nella mente e nel cuore. La mamma presto, molto giovane, se n’andò, presa da un brutto male e il babbo che l’amava, ci crebbe e la seguì vent’anni dopo.

Aveva studiato da psicologo e con un master era diventato psicoterapeuta. L’agenzia spaziale europea cercava proprio uno psicologo per sperimentare gli effetti dell’isolamento nello spazio; l’Italia era stata selezionata per questa ricerca e lui si fece finalmente coraggio: “il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare”. Partecipò al bando senza eccessive speranze, però con impegno e volontà. Il fisico era scarso, ma aveva fatto atletica, nuoto, un po’ di basket e calcio e riuscì a superare le severissime prove. Poi l’addestramento proseguì con un corso di scienze. Prima di laurearsi in psicologia, aveva frequentato il liceo scientifico: studente non particolarmente brillante, magari politicamente impegnato e tuttavia il primo della sua classe agli esami di maturità. Questo un po’ gli fu utile. La scuola e lo studio alla fine servono più di quanto si creda, anche quando sembra che non servano proprio a niente.

E così eccoci qua, in una specie di gigantesco barattolo provvisto di oblò, volante nello spazio profondo: uno psicologo di formazione transazionale divenuto uno psicoterapeuta spaziale. Suonava bene. Forse. Chissà.

La Stazione spaziale internazionale, ISS, progettata delle agenzie spaziali, canadese, europea, giapponese, russa e statunitense, é un grande velivolo che orbita quasi circolarmente intorno alla Terra ad una quota tra 278 e 460 chilometri, ad una velocità media di 27.743 chilometri all’ora. Alimentata da pannelli fotovoltaici è dedicata alla ricerca scientifica dal 2000, da quando hanno cominciato ad abitarvi i primi astronauti. Grazie alla sua orbita permanente nello spazio e alla costante presenza degli astronauti, gli esperimenti possono essere effettuati a lungo termine in assenza di gravità, inviando in tempo reale dati al personale a terra. Lui, lo psicologo, lo psicoterapeuta spaziale, era uno di questi esperimenti.

La ISS completa 16 volte il giro della Terra in un giorno terrestre. Così ci sono 16 albe e 16 tramonti nel corso delle 24 ore. Per questo si devono coprire gli oblò della stazione durante le ore notturne, stabilite usando il fuso orario UTC, il tempo coordinato universale o tempo civile, derivato dal tempo medio di Greenwich, quello di riferimento per tutti gli altri fusi orari del mondo.

“Vita dura per noi cosmonauti”, pensava: la giornata tipo prevede la sveglia alle 6 seguita da attività di post-sonno e un controllo generale della Stazione. Poi prima colazione, briefing di pianificazione quotidiana con il Controllo Missione. Ognuno inizia il suo lavoro alle 8 circa. La pausa pranzo è alle 13 e dura all’incirca un’ora. Il pomeriggio proseguono le varie attività che si concludono alle 19,30 con la cena e un briefing conclusivo. Si va a dormire alle 21,30. Si dorme in media cinque o sei ore al giorno. Il sogno ricorrente è quello di galleggiare nel vuoto. In generale l’orario di lavoro di un equipaggio è di dieci ore nei giorni feriali -quassù il sindacato non è ancora arrivato- e cinque ore il Sabato. Il resto del tempo e il festivo sono dedicati al riposo, agli svaghi, per quanto possibile e più spesso ai lavori rimasti incompiuti.

Quassù tutto fluttua e siamo pesci e uccelli, nuotiamo nell’aria come esseri volanti. È una sensazione meravigliosa di leggerezza a cui, nonostante le prove di addestramento, non ci si abitua mai completamente. Così come non ci si adatta mai del tutto alle sue conseguenze fastidiose: noi esseri pesanti. Per evitare gli effetti negativi dell’assenza di gravità, sulla ISS ci sono due tapis roulant, a cui ci si aggancia attraverso apposite corde, attrezzi per il sollevamento pesi e una cyclette. Ognuno di noi viaggiatori dello spazio trascorre almeno due ore al giorno a compiere esercizi fisici. In assenza di una doccia per ovvi motivi - magari!- possiamo lavarci con un getto d’acqua, salviette umidificate e sapone erogato da un tubetto. Usiamo anche uno shampoo speciale e un dentifricio commestibile per risparmiare acqua. La toilette prevede un tubo con un imbuto giallo per l’urina e una sorta di scatola con buco per il bisogno “grosso”. Un leggero risucchio impedisce che questi scarti galleggino liberi all’interno della stazione spaziale: meno male! I rifiuti liquidi vengono raccolti e trasferiti al sistema di recupero, dove vengono riciclati sotto forma di acqua potabile. Anche i liquidi che evaporano dai corpi degli astronauti e persino l’urina, e questo a lui faceva un po’ schifo a pensarci, mentre i rifiuti solidi vengono immagazzinati in un contenitore d’alluminio.

Gli indumenti usati nello spazio, dopo essere stati usati, vengono buttati. “Abbiamo soltanto sei paia di pantaloni per tutta la missione, quindi un paio al mese. Fortunatamente per altri tipi di indumenti la dotazione è un po’ più generosa”. Nello spazio ancora non si fa raccolta differenziata, porta a porta: i rifiuti, gli oggetti da buttare e le feci vengono ammucchiati nella stiva dell’ATV, il Veicolo automatico di trasferimento dell’Agenzia spaziale europea. Una volta riempito viene lanciato nell’atmosfera in modo che si disintegri in circa 700 pezzi.

Si mangiano sostanzialmente cibi congelati, refrigerati o in scatola e, poiché il gusto nello spazio diviene molto più limitato, sono molto graditi i cibi piccanti che a lui però procuravano gastrite o la strana sensazione di soffrire di appendicite: pensare che gli avevano praticato da giovane l’asportazione chirurgica dell’appendice! Ma del resto i cibi piccanti gli piacevano anche sulla Terra: di qualcosa si deve pur vivere e morire. Le bevande sono fornite sotto forma di polvere disidratata che viene mescolata con acqua prima del consumo: come le zuppe vengono sorseggiate tramite sacchetti di plastica con cannucce, mentre il cibo solido si mangia con coltello e forchetta, attaccati ad un vassoio magnetico. Qualsiasi alimento in grado di produrre residui, briciole e frammenti di cibo deve essere raccolto per evitare l’intasamento dei filtri d’aria della Stazione e delle altre attrezzature.

L’ISS prevede alloggi per ogni membro dell’equipaggio permanente, con due “stazioni di sonno” poste nel segmento russo e altre quattro nel modulo Tranquility della Nasa. Gli alloggi statunitensi sono realizzati in cabine dimensionate per una persona e insonorizzate. All’interno si può dormire in un sacco a pelo ancorato alla parete, ascoltare musica, usare un computer portatile e conservare oggetti personali in un cassetto o in reti fissate alle pareti. L’alloggio è dotato di una lampada da lettura e di una mensola: si leggono libri in digitale, ma “The Martian” se l’era portato in cartaceo, lo sfogliava e annusava l’odore della carta che voleva ricordare, nemmeno fosse un sopravvissuto!

Dal modulo Cupola si vedono lo spazio cosmico, oscuro e le stelle luminose, lontanissime e forse già estinte, che sembrano un po’ più vicine. E si vede Gea, Gaia che venne dopo il Chaos, la Terra, la nostra, l’unica che abbiamo al momento e per chissà quanto tempo ancora, il Pianeta Azzurro: le cose sono sempre più belle di quelle che sono, osservate dall’alto, da così alto, meravigliose.

Ma qual era il suo compito? Era quello che derivava dalla sua competenza e professione di psicologo: osservare e registrare i comportamenti dell’equipaggio: dei tre compagni di viaggio e del suo. E poi doveva sperimentare su di se’ i problemi causati dall’isolamento nello spazio. Che era quello che stava facendo dopo il lancio e il distacco dall’ISS del modulo di cui era l’unico passeggero. Era totalmente solo ora, nello spazio cosmico: che effetto può avere sulla psicologia di un essere umano?

La mente può giocare brutti scherzi in orbita. Gli psicologi hanno provato che nello spazio gli astronauti riscontrano affaticamento, letargia, dolori ai denti, comparsi dopo avere sognato di avere dolore ai denti, paura di diventare impotenti. Ci sono, però, anche effetti positivi: l’effetto visione totale, cioè un senso di meraviglia e soggezione nei confronti dell’Universo, che porta a un sentimento di trascendenza, di pace e di unità con la natura.

Osservando il nostro pianeta da lassù, la bellezza della visione è tale che se tutti potessimo avere almeno una volta la possibilità di ammirare la Terra dallo spazio, avremmo certamente più cura e rispetto di quella che è la nostra casa, la dimora di ciascuno di noi. Gli astronauti che hanno vissuto questa esperienza sono tutti concordi nell’affermarlo. Talora questa sensazione è così forte che può perfino trasmettere un senso di euforia e stordimento.

E’ quello che gli succedeva ora e insieme provava un forte senso di nausea. Adattarsi alla vita in una navicella spaziale non è semplice: entrando nell’orbita terrestre corpo e cervello hanno bisogno di qualche giorno per abituarsi alle nuove condizioni ambientali. La Sindrome da adattamento allo spazio, SAS, colpisce molti astronauti: tra le conseguenze più spiacevoli c’è la nausea spaziale, simile al mal di mare. A lui facevano già male l’auto e la nave, l’aereo no, ma evidentemente l’astronave sì. Chissà perché. Sicuramente per qualcosa che aveva a che fare con la mancanza di gravità e la lunga permanenza nello spazio dove si vola e si naviga nello stesso tempo: proprio questo del resto faceva parte del suo esperimento. Doveva essere testato scientificamente, anche sotto un profilo psicologico.

“Qui modulo, qui modulo a Stazione spaziale siete in ascolto? Rispondete”

“Modulo spaziale a Stazione, ci siete? Mi ricevete?”

Sentiva il bisogno di comunicare con la Stazione ISS e doveva fare il rapporto quotidiano, ma nessuno rispondeva. Provò a trasmettere ancora e poi ancora, ma niente da fare. Allora si attivò per una comunicazione d’emergenza.

“Modulo spaziale a Comando base: abbiamo un problema!”

Era una frase famosa nella storia dell’aeronautica spaziale che ripeté per stemperare l’incipiente nervosismo e si aspettava una risposta altrettanto storica, tipo:

“Qui Comando base, ripetere prego”.

Invece silenzio. Fruscio. Silenzio. Nemmeno la sala comunicazioni del Comando base a Terra rispondeva. Riprovò diverse volte. Quando ad un tratto si accese la spia rossa di malfunzionamento del sistema di trasmissioni: le comunicazioni erano interrotte.

“Cazzo, cazzo, cazzissimo!!! Ma che succede?!” Inveì preoccupato, anzi allarmato, anzi spaventato da quel black out improvviso e totale.

Ripassò mentalmente la procedura, la ripeté più volte: tutto sembrava a posto sul modulo, non dipendeva da lì. Allora che cavolo era successo? Cercava di mantenere la calma e di ragionare, come gli avevano insegnato al corso. Respirava però con affanno crescente. Di lì a poco sarebbe stato preso dal panico. Si slacciò le cinture e s’indirizzò fluttuando verso l’angolo medico. Durante l’addestramento gli avevano impartito nozioni basilari di medicina e poi un po’ in materia ne sapeva. Assunse un tranquillante, cercò di rilassarsi controllando il ritmo respiratorio. In parte ci riuscì.

Chiuse gli occhi, pensava. “Se il blocco delle comunicazioni non dipende dalla strumentazione interna al modulo, ma dalla Stazione orbitante ISS allora può essere anche peggio!” E si sforzò di elaborare alcune possibili cause: una più negativa dell’altra. “Mi hanno perso, sono finito fuori rotta e nemmeno uno dei satelliti del sistema Tdrs, in orbita geostazionaria mi prende più.” Ma come è possibile? “Oppure è successo un disastro all’ISS: si è interrotta la ventilazione negli alloggi dell’equipaggio e gli astronauti sono soffocati nel sonno per privazione di ossigeno, a causa della bolla composta dalla propria anidride carbonica espirata che si è formata per mancato ricambio dell’aria”. Una congettura impensabile: il sistema di allarme non ha funzionato? E ancora un’altra tragica, terribile ipotesi: “Uno sciame di asteroidi ha colpito la Stazione provocando un guasto irreparabile”. Il sistema di avvistamento non è stato in grado di comunicare per tempo l’impatto?

Si sentiva prendere dal sonno, era sopraffatto e il tranquillante ora faceva in pieno il suo effetto, si spinse fino al sacco a pelo fissato alla parete e si addormentò profondamente.

Si svegliò, riprovò a trasmettere, ma non c’era nulla da fare e nessuno più dava segni di vita. Dal minuscolo oblò della sua navicella vedeva solo il buio cosmico, le telecamere non registravano più. Pensò che stava andando alla deriva nello spazio dove non c’è più niente. Un buco nero l'avrebbe inghiottito e sarebbe imploso in un punto. Forse avrebbe fatto parte del mistero dell'antimateria senza nemmeno poterlo raccontare. Probabilmente sarebbe esploso. Di sicuro sarebbe morto: questo poteva già cominciare a calcolarlo e raccontarlo.

Iniziò la macabra contabilità dei viveri: gli restavano cibo e acqua per un mese circa, razionalizzando le scorte forse due, usando gli integratori e le vitamine della fornitura farmaceutica addirittura tre! Poi si sarebbe spento.

Sarebbero arrivati i soccorsi della comunità spaziale internazionale? Rammentava un proverbio Senegalese che recita: “Nit nitaye garabam". La lingua wollof non era una di quelle che aveva dovuto obbligatoriamente studiare durante l'addestramento, sapeva solo quella frase, bellissima, che significa "L'uomo è il rimedio dell’uomo". Poteva ancora confidare in questo?

Incombevano nella sua mente tutte le paure circa i pericoli dello spazio. I rischi a cui va incontro chi rimane troppo a lungo in orbita attorno alla Terra: osteoporosi, perdita di massa ossea e muscolare, problemi cardiaci e cecità spaziale, diabete. Tutto ciò causato da microbi spaziali, tempeste solari, radiazioni, assenza di gravità e polvere tossica. E questo non era fantascienza, ma la realtà: proprio quella che vivono gli astronauti. Le radiazioni solari aumentano sensibilmente le probabilità di sviluppare tumori. Sapeva che altre complicazioni, nello spazio, potevano verificarsi a livello delle vie aeree, a causa dell’accumulo di liquidi nella parte alta del corpo che può provocare forti congestioni nasali. E poi c’erano microbi spaziali a minare la sua salute: un test eseguito sulla Stazione russa Mir scoprì la presenza di ben 234 specie di batteri e funghi microscopici che vivevano a bordo con gli astronauti. Il personale della ISS in servizio tra il 1995 e il ’98 segnalò un alto numero di infezioni microbiche, come congiuntiviti, difficoltà respiratorie acute e infezioni dentali. Studi medici hanno anche provato che nello spazio gli antibiotici sono meno efficaci. Era vero che i viaggi e i relativi esperimenti svolti nello spazio servivano a migliorare diagnosi e cure per la salute umana, ma lui era solo e spaventato dal male. Si sarebbe ammalato, sarebbe morto in solitudine nel vuoto, alla deriva nella galassia siderale.

Per allontanare questi cattivi pensieri e vincere la depressione tentava di ingannare il tempo che sembrava non avere principio e fine. E ne ripassava il concetto di relatività, secondo Einstein: "Quando un uomo siede un'ora in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività". Ripensava alla propria compagna: anche a lei aveva dimostrato un giorno lontano che il tempo, come tutto, era relativo. “Quando tardi te il tempo si dilata, quando tardo io invece si contrae”. Ma si commosse, le aveva voluto bene. Non c’è rimedio all’amore e la cura è innamorarsi ancora. E pensò ai suoi affetti: ai figli piccoli e gli venne da piangere e pianse, solo, nello spazio infinito che nessuno sapeva con precisione se stesse dilatandosi o contraendosi, così come il suo pianto e il suo cuore.

Galleggiava, spesso rimanendo in questo stato di prostrazione a lungo, poi si riprendeva e curava, per quanto possibile, il proprio mantenimento fisico utilizzando la cyclette. Leggeva per tenere la mente impegnata. Si radeva e si riprendeva con la telecamera interna leggendo a voce alta il diario di bordo che scriveva per autodisciplina: annotava puntualmente ogni cosa, tutte queste sensazioni. Lo faceva anche per non perdere la nozione del tempo. Osservando l'orologio, teneva il conto delle ore e così dei giorni che passavano. Ogni mattina e ogni sera o presunte tali, ogni 12 ore, ripeteva quasi per dovere, senza speranza e senza risposta, il rito delle comunicazioni.

"Qui modulo spaziale, mi sentite?"

“Qui modulo spaziale, mi sentite?”

Quanti giorni erano trascorsi? Controllò sul diario: se non aveva fatto male i conti, oltre un mese. Dove si trovava? Verso cosa stava navigando o volando? Al largo dei bastioni di Orione, oltre le navi da combattimento in fiamme? O era vicino alle porte di Tannhäuser, nel buio, dove balenano i raggi Beta? E tutti i momenti della sua vita sarebbero andati perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. Era tempo di morire.

"Qui modulo spaziale, mi sentite?"

"Modulo, ti riceviamo forte e chiaro dalla Stazione orbitante ISS e dal Comando base Terra. Complimenti! Prova di isolamento spaziale superata. Abbiamo oscurato noi le comunicazioni. I tuoi compagni di equipaggio ti salutano e qui tutti, in sala Comando. Sei in comunicazione satellitare internazionale".

Il cuore ebbe una serie di extrasistoli dolorose. Era stato un esperimento più o meno riuscito! Commosso e incazzato, la seconda cosa quanto e più della prima, riuscì solo a balbettare in mondovisione:

"Qui modulo spaziale, lieto di sentirvi. Andate tutti quanti affanculo!!!”

Dalla sala comandi si sentirono applausi e risa.

Marco Celati

Cari ipotetici lettori,

in questo racconto il “vostro” autore, forse suggestionato dal film "The Martian" -ha comprato anche il libro- è partito per una missione spaziale e, per la vostra gioia, è pure tornato. Incombendo l’età, meglio lo spazio che l’ospizio. Con "L'astronauta", dopo "Il faro" e "Il frate", si completa l'annunciata "trilogia dell'isolamento", fondamentale opera letteraria del genere racconto breve. Dopo tanto servizio pubblico, un po’ di isolamento privato ci può anche stare. D'altra parte chi nella vita non ha desiderato almeno una volta di stare su un faro in un'isola o di ritirarsi in convento oppure di essere un astronauta? E in questi tempi di "mal costume, mezzo gaudio" verrebbe ancora più voglia.

A proposito di fantascienza, sappiate che al ritorno, risucchiata dall'atmosfera terrestre, una bestia aliena ha invaso la casa del “vostro” narratore, assumendo le spoglie di una tarantola e così ora, in veste di intrepido cosmonauta, egli si aggira per le stanze con un'arma spaziale sotto forma di granata (detto nel senso di scopa) chiudendosi alle spalle le porte come fossero compartimenti stagni di un'astronave, per isolare l'indesiderato intruso e rispedirlo nello spazio profondo e ostile da cui proviene. Pensare che da ragazzi, lucertole e tarantole senza distinzione, bestiole per altro innocue ed utili, si cacciavano con la fionda o si catturavano a mani nude, vincendo il ribrezzo dato dalla sensazione di freddo che il loro corpo di rettili trasmette a noi umani dal sangue caldo! Ma il tempo passa e con esso passano il coraggio -se così si può chiamare, ma non credo- l'incoscienza e per fortuna anche un po' di crudeltà. In compenso si rincoglionisce.

Per quanto riguarda la descrizione di questa fantastica saga spaziale, resta da dire che la citazione sul coraggio che non si ha è notoriamente di manzoniana memoria. Il celeberrimo piccolo passo per un uomo e grande per l’umanità fu quello effettuato in occasione del primo allunaggio del 1969, missione Apollo 11, dal compianto conquistatore della Luna, Neil Armstrong, che così lo descrisse. I riferimenti, presumibilmente tecnico scientifico del racconto, sono presi dalle relazioni dei viaggi degli astronauti. La descrizione relativa agli indumenti da portare nello spazio, ad esempio, è di Samantha Cristoforetti, la prima cosmonauta italiana. "Houston, abbiamo avuto un problema" fu la famosa frase che caratterizzò le drammatiche vicende della missione Apollo 13, il cui positivo esito tutti ricordiamo ancora con un sospiro di sollievo. Verso il finale un omaggio doveroso e spudorato al grande film “Blade Runner”. Tutto il resto è “fantascemenza”: sono corbellerie spaziali, escogitate per vincere la “gravità terrestre”. O comunque resistergli.

Pontedera, 15 Ottobre 2015

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati